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Le torri litoranee

Giuseppe Mele
 

Le piazzeforti di Cagliari e Alghero, ben munite di artiglierie e guarnigioni di truppe regolari, costituiscono un valido deterrente contro un tentativo d’invasione del Regno da parte dei nemici della Spagna. La frontiera marittima rimane però in larga parte sprovvista delle condizioni minime di sicurezza e viene così bersagliata dalle scorrerie dei corsari barbareschi. Per questo motivo la monarchia di Filippo II decide di inserire il Regno sardo nel programma difensivo che prevede la costruzione di una catena di torri d’avvistamento lungo le coste iberiche e italiane: un’azione strategica di ampio respiro che ha uniformato per secoli i modi della difesa costiera nel bacino occidentale del Mediterraneo.

In Sardegna alcuni fortilizi, e tra questi la torre Grande di Oristano, vengono realizzati e armati dalla Corona; altri sono fabbricati e poi mantenuti dagli abitanti dei villaggi prossimi al mare, che scelgono di fortificare i promontori dove erano solite appostarsi le sentinelle; ma la maggior parte è opera dell’Amministrazione delle torri, l’istituto fondato a Cagliari nel 1583 per dare una gestione unitaria alla difesa del litorale.

A metà anni Ottanta del XVI secolo nel Sinis settentrionale sono state portate a termine le quattro torri tutt’ora esistenti: quelle di Sa Mora e di Murrunchoni (Capo Mannu) a spese degli abitanti del Campidano di Milis, salvo un piccolo contributo iniziale versato dall’Amministrazione; mentre di Escala sal e Orfano Puddo (la Torre “del pozzo” di S’Archittu) i costi di impianto, l’armamento e il soldo dei sorveglianti gravano per intero sull’istituto cagliaritano. Le fonti del tempo indicano altri due fortilizi più a sud, a Capo San Marco e a Cala Barbarossa, ma non è chiaro se quest’ultimo sia la torre di Seu o quella “vecchia” di Capo San Marco. A parte una somma imprecisata corrisposta dalla Corona, destinata probabilmente al salario dei capomastri, il resto del denaro e le prestazioni lavorative sono offerti, in questo caso, dalla popolazione del Campidano Maggiore. Le sei torri, con l’eccezione di Capo San Marco che conta un soldato in più, ospitano tutte una guarnigione di tre unità e hanno in dotazione uno smeriglio (un cannone di piccolo calibro), picche e archibugi.

Nello scorcio del secolo l’efficienza del sistema viene verificata quotidianamente. Nel Campidano di Milis un ufficiale di stanza a San Vero o a Narbolia invia dopo il tramonto tre cavalieri a ispezionare le quattro torri che ricadono sotto la sua giurisdizione. La squadriglia deve giungere a S’Archittu non prima di mezzanotte per recarsi poi a Sa Mora passando da Escala sal e Capo Mannu. La ronda, che si conclude prima dell’alba con il rapporto all’ufficiale, mira ad accertare che tutti i guardiani si trovino nelle torri e che nella sommità di ciascuna di esse vigili la sentinella di turno. Per tale motivo i cavalieri portano quattro bastoni con inciso lo stemma d’Aragona e li consegnano ai guardiani, che in cambio restituiscono quelli di una lunghezza diversa ricevuti la notte precedente.

Un analogo sistema di vigilanza vige anche nei Campidani Maggiore e di Simaxis. Nel primo caso l’ufficiale responsabile risiede a Cabras, da dove coordina il servizio di ronda nel tratto di costa compreso tra Capo San Marco e l’arco di roccia presso la colonia degli Evaristiani. La sede prescelta per il Campidano di Simaxis è invece Santa Giusta, ma in mancanza di torri tra la foce del Tirso e lo stagno di Marceddì l’ispezione notturna passa in rassegna le sentinelle in servizio nelle postazioni all’aperto di Sipriano, Tremaseddu, Fogi de Sassu e Coa de marjani.