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Oristano e il suo territorio nella Relatione di Giovan Battista de Lecca (1581-1582)

Giovanni Serreli (CNR – ISEM)

Tra il 1581 e il 1582 venne redatta una descrizione ufficiale del territorio interno e delle coste del Regno di Sardegna; si intitola Littoral de Sardegna (nella coperta) o, meglio, De Sardinia. Relatione de tutti li territorii, et Costa Maritima et luochi nominati cargatori, et ordine dato et trattato per me don Giovan Batista de Lecca col Ill.mo viceré et Consiglio di questo Regno, con le Pramatiche et conforme à Sicilia, l’anno 1581 et 1582. La relazione – o, meglio, la sua copia autenticata il 14 luglio 1582 dal notaio cagliaritano Fernando Sabater nella cancelleria cagliaritana della Luogotenenza – è conservata presso l’Archivio Storico Comunale di Cagliari. Citata in passato, l’importante relazione è attualmente in fase di studio da parte dello scrivente che ne sta preparando l’edizione.

Scritta in lingua volgare italiana, la Relatione si compone di 90 carte recto e verso ed è divisa in due parti: Territorio, nella quale l’autore descrive sommariamente i territori di ciascuno dei numerosi feudi del Regno, e Costa di mare, nella quale si parla delle coste, percorse e descritte in senso orario partendo da Cagliari; l’ultima parte contiene una sorta di piccolo glossario, la copia della documentazione relativa all’incarico svolto e l’autentica notarile.

Come si evince anche dall’intestazione, l’autore è un certo Giovanni Battista de Lecca, che nel manoscritto compare anche nella grafia de Leca o de Lega; era maestro portulano nel Regno di Sicilia dove aveva avuto anche l’incarico dell’arbitrio frumentario, cioè di governare il complesso sistema di produzione, stoccaggio e commercializzazione dei cereali. Tale incarico, per ordine diretto dello stesso Filippo II (I di Sardegna) al viceré di Sicilia, gli fu affidato anche per il Regno di Sardegna.

L’importanza della relazione non sta solo nel suo contenuto ma anche, e forse soprattutto, nel contesto della traiettoria delle riforme che Filippo cercò di realizzare nel Regno di Sardegna così come negli altri Stati della sua vasta Monarchia.

Fin dalla sua ascesa al trono, infatti, avendo ereditato dal padre Carlo I (V imperatore) una situazione molto difficile e complessa sia dal punto di vista militare che da quello economico, Filippo provò ad intervenire in maniera tempestiva anche in virtù dell’esperienza maturata negli anni precedenti come governatore della Corona d’Aragona. Aveva, quindi, ben presente la necessità di far fronte soprattutto alla difesa di questi Stati, nella contingenza della pericolosa alleanza dell’Impero Ottomano con il Regno di Francia; quest’alleanza, definita empia dai contemporanei, metteva in pericolo proprio il Regno sardo, che doveva fronteggiare il pericolo francese da nord, dalla Corsica, e quello barbaresco e Ottomano da sud. Il pericolo di perdere la Sardegna era imminente e ciò scatenava una vera e propria «ossessione del turco».

Da questa complessa situazione scaturiva la decisione di provvedere nel più breve tempo possibile al completamento delle fortificazioni e difese del Regno di Sardegna, fino a quel momento limitate alle principali città (Cagliari, Alghero, Castelsardo e, marginalmente, Oristano). Ma il problema della fortificazione delle Città regie e dell’intero Regno era intrinsecamente legato ad un adeguamento dell’apparato statale al fine di renderlo più funzionale alle nuove esigenze e ai pericoli: un più funzionale apparato amministrativo e giurisdizionale avrebbe garantito la disponibilità di maggiori risorse economiche e umane per la difesa.

Perciò, in parallelo con quanto avveniva negli altri Stati della Monarchia ispanica, nell’agosto del 1556 Filippo II nominò il suo primo luogotenente e capitano generale, il catalano Álvaro de Madrigal; si trattava di un militare, perché l’attenzione venne posta in maniera prioritaria, ma non esclusiva, sulla difesa dei territori a lui affidati. Gli vennero date precise istruzioni mirate soprattutto alla difesa militare e all’amministrazione del Regno, in particolare alla giustizia, e nelle sue prime relazioni a Corte dimostrò di voler eseguire pedissequamente, nonostante la mancanza di risorse, quanto gli era stato raccomandato; infatti, appena assunto l’incarico, istituì un Consiglio di guerra hordinario, per tutte le decisioni riguardanti la difesa del territorio (15 maggio 1557).

Al fedele luogotenente nell’ottobre del 1557 fu affiancato il nuovo visitatore Pietro Clavero con il compito di far luce sulle malversazioni nella gestione dei fondi per la difesa del Regno. Venne, inoltre, convocato un Parlamento anticipato con l’unico scopo dichiarato di reperire le risorse per completare la fortificazione delle Città regie.

A seguire, nel 1557 venne riformato il funzionamento del Consiglio Regio, con precise istruzioni sulla segretezza del voto; nel 1558 venne istituito l’ufficio in capite del reggente la Tesoreria generale, che riassumeva quello di ricevitore del Marchesato di Oristano e della Contea di Goceano e quello di ricevitore del Riservato.

Tra il 1562 e il 1563 veniva riavviato il Tribunale dell’Inquisizione e la sede venne trasferita da Cagliari al castello di Sassari per staccarlo dalle trame del ceto baronale della capitale.

La chiave di volta di questa traiettoria di riforme fu l’ideazione, la creazione e il perfezionamento, tra il 1560 e il 1573, della Reale Udienza anche in Sardegna; a essa vennero attribuiti compiti non solo giurisdizionali (Tribunale supremo) ma anche politici (una sorta di Senato).

Inoltre, per poter formare letrados locali da inserire nella burocrazia che andava strutturandosi, nel biennio 1564-1565 vennero aperti i collegi gesuitici sia a Sassari che a Cagliari.

Tra il 1583 il 1587 venne istituita la Administración del dret del real, nota come Reale Amministrazione delle Torri, che da quel momento provvide alla costruzione e gestione di un sistema di torri di avvistamento costiero.

Costante fu, inoltre, l’attenzione per l’incentivazione delle produzioni agricole e per l’annona.

Ciò che va sottolineato e qui posto in evidenza, è la preparazione di questa traiettoria di riforme che avrebbe dovuto colmare il divario nell’apparato amministrativo e nelle infrastrutture militari fra il Regno sardo – in generale fra gli Stati periferici della Monarchia ispanica – e quelli continentali. Infatti, questa catena di riforme venne preceduta ed accompagnata da una variegata serie di progetti, descrizioni cartografiche e dettagliate relazioni ufficiali sul Regno, sulle sue coste, sulle sue produzioni o sulle fortificazioni, commissionate direttamente dal sovrano o dai suoi luogotenenti.

Intanto, basti pensare alle periodiche relazioni con cui i viceré aggiornavano continuamente la Corte: in quanto capitani generali, i luogotenenti erano tenuti a perlustrare periodicamente il territorio e darne notizia al sovrano.

Importanti, al fine di pianificare meglio la difesa del Regno, furono anche i tanti progetti relativi alle fortificazioni di Cagliari e Alghero, affidati a Rocco Capellino prima e ai fratelli Paleari Fratino poi, e la cartografia a questi spesso collegata; a Rocco Capellino è attribuita anche una “Descrizione della Sardegna” del 1577.

In questo nuovo clima che nel XVI secolo si stava venendo a creare, due eruditi sardi scrissero alcune fondamentali opere descrittive sulla Sardegna: di tratta della Sardiniae brevis historia et descriptio dello sfortunato Sigismondo Arquer e, da quest’ultima influenzate, il De rebus Sardois e la Corographia Sardiniae di Giovanni Francesco Fara.

Molto importanti sono, però, le relazioni ufficiali redatte tra il 1571 e il 1582 dal capitano di Villa di Chiesa (Iglesias) Marco Antonio Camos e da Giovanni Battista de Lecca, sulla quale in queste pagine si presterà attenzione per quanto riguarda il territorio di Oristano e del Marchesato nella seconda metà del Cinquecento.

Intanto, è necessario contestualizzare queste relazioni nella temperie del periodo e nella decisa azione riformatrice voluta da Filippo II: nei vari Stati della sua vasta Monarchia, soprattutto quelli più esposti ai pericoli, il sovrano commissionò – direttamente o tramite i suoi luogotenenti – delle descrizioni e relazioni, finalizzate soprattutto alla progettazione delle difese costiere ma anche al rifiorimento produttivo. A solo titolo di esempio si possono qui ricordare, per il Regno di Sicilia, la Descripción de las marinas de todo el reino de Sicilia dell’architetto senese Tiburzio Spannocchi (1543-1606) o le tre opere, parzialmente inedite, del fiorentino Camillo Camilliani (morto a Palermo nel 1603); per le Canarie, la Descripción e historia del reino de las Islas Canarias, dell’ingegnere cremonese Leonardo Torriani. Si trattava quasi sempre di architetti e specialisti della penisola italiana.

Per quanto riguarda il Regno di Sardegna, la relazione più conosciuta è senz’altro quella del capitano Marco Antonio Camos, risalente al 1572 e aggiornata nel 1574 con una mappa; dopo aver circumnavigato l’isola in senso orario, su incarico del viceré Juan Coloma (1570-1577), il Camos stese la Relaçiòn de todas las costas maritimas de lo Reyno de Cerdèna, y de los lugares a donde se deven hazer las torres y atalayas necessariaspara eI descubrimiéto y fortificacion del …, che è «una minuziosa descrizione dei luoghi, degli approdi, degli stagni e dei corsi d’acqua … con ipotesi realistiche sulle risorse umane e finanziarie da impiegare» per la costruzione del sistema statico di difesa costiera; venne pubblicata tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso.

Nella sua relazione il Camos descrive anche la città e il territorio di Oristano.

«La Ciudad de Oristan tiene su sitio en tierra llana a la parte de tramontana; le passa a una milla el mas caudalosorio deste Reyno, y por poniente maestral y mediojorno tiene tres estanos que la hazen malsana. Pero las pesqueras dellos son de grande utililidad, es muy abundante tierra de toda vitualla, que fen campañas muy largas y fructiferas y de resas muy fertiles la proveen de toda cosa y causan que aunque el clima sea mal sano, sea de lo mas poblado deste Reyno. Despues que se hizo la torre en el puerto se conosce grande aumento en las aziendas y policia de la tierra per averse estendido la gente en comercio, pegada a la muralla esta el Castillo, que es de los que se hazieren para la lança y escudo: esta agora basto aruynada la casa que dizen del Marques se subtenen toda via; en esta Ciudad estan las dos ymagines devotissimas y tam nombradas del S.to Crucifixo, y la Nunciada que milagrosamente se tiene por cierto llegaron a este pueblo juntamente con la ymagen del Angel Gabriel que sta en la villa de Sagamo y se muestra bien aver sido hechas per una mano la ymagen de N.ra Senora, y la del Angel de Sagamo».

Il territorio di Oristano è descritto dal Camos come molto popolato e ricco d’acqua; questo era un vantaggio perché i terreni erano fertilissimi e produttivi ma, a causa degli stagni, era assai malarico. Le produzioni e le esportazioni avevano tratto vantaggio dall’edificazione di Torregrande. La città era protetta da mura e castello e il palazzo del marchese era in rovina; la città conservava las dos ymagines devotissimas del Santo Crocifisso (il Crocifisso di Nicodemo?) e dell’Annunciazione (l’Annunciazione di Antioco Mainas, dal San Francesco?), giunte insieme all’Angelo Gabriele di Sagama.

Dieci anni dopo, tra il 1581 e il 1582, Giovanni Battista de Lecca percorse i territori interni e le coste del Regno. La sua non è – o non è solo – una relazione sulle coste del Regno sardo né, tantomeno, un portolano; ma è tanto altro. Prima di scendere nei particolari, si può in generale affermare che si tratta di una fra le tante relazioni– un vero e proprio “studio preliminare” (oltre quelli dei viceré e del Camos) – che dovevano precedere e accompagnare quella traiettoria di riforme alla quale ho accennato. Relazione densa di proposte che, per quanto riguarda la costruzione del sistema di difesa statico delle coste, affianca e implementa quella del Camos, di dieci anni precedente, anche se, come quest’ultima, non venne seguita alla lettera nella costruzione delle torri, pur servendo da base per la loro pianificazione.

Si tratta anche, e oserei dire soprattutto, di una relazione che ci restituisce una fotografia panoramica, sebbene superficiale, dell’esistente e tratteggia un Regno con ampie distese di boschi e macchia mediterranea, le cui coste erano per la maggior parte e da più di due secoli spopolate e i territori interni e costieri non erano coltivati secondo le loro reali potenzialità; ma alla descrizione dello status quo de Lecca aggiunge una serie di indicazioni e proposte mirate a rivitalizzare le produzioni, strappare terre al bosco e alla macchia per destinarle alla coltivazione dei vari tipi di frumento e altre colture, ripopolare le coste e incentivare le esportazioni. Il tutto in ottemperanza all’incarico di «introduzir y assentar la sementera y arbitrio frumentario por la forma que se usa en el de Sicilia»; il 29 marzo 1584, infatti, Filippo II ordinò il pagamento delle sue competenze – 500 ducati d’oro – ai funzionari del Regno, evidentemente recalcitranti. La rivitalizzazione dell’economia costiera, non disgiunta dalla sicurezza, passava anche attraverso l’aumento delle produzioni cerealicole, con sementi adatte a ogni tipo di terreno, ma anche grazie all’introduzione di nuove coltivazioni: quella del riso o della canna da zucchero, laddove l’idrografia lo avesse permesso, oppure con nuove produzioni, come quella della melannurca. Nella relazione sono anche contenuti suggerimenti per arginare le frequenti inondazioni dei fiumi nelle pianure malariche.

Per raggiungere questi obiettivi Giovanni Battista de Lecca proponeva il ripopolamento delle ville antiquamente habitate (fino al Trecento); ciò avrebbe garantito la sicurezza costiera unitamente all’edificazione di torri di avvistamento nei luoghi indicati e alla predisposizione di guardias a piedi e a cavallo. Ma tutto questo non sarebbe bastato se non fossero stati istituiti nuovi porti caricatori per poter esportare le produzioni dell’immediato entroterra costiero rimesso a coltura, come viene chiaramente espresso, ad esempio, per Carbonara e per il golfo di Teulada.

In generale, quello proposto era un rovesciamento della prospettiva: la sicurezza delle coste sarebbe stata più efficace grazie al loro ripopolamento che non poteva prescindere da un rifiorimento produttivo ed economico. Anche dal punto di vista attuale, l’analisi e le soluzioni proposte in questa relazione smentiscono chiaramente la tesi – in parte ancora stancamente seguita – secondo la quale le coste sarde vennero abbandonate in età moderna a causa delle incursioni dei mori. Invece, come confermato da questa relazione, risulta evidente che la maggior parte dei villaggi costieri vennero abbandonati antiquamente, soprattutto a causa della crisi del Trecento; successivamente, questi territori non attrassero più abitatori anche a causa del soffocante regime feudale imposto nel Regno di ‘Sardegna e Corsica’ che aveva portato anche alla chiusura delle esportazioni nella maggior parte dei porti attestati in epoche precedenti (giudicale e pisana). L’apertura di nuovi porti caricatori, come proposto per lo stesso porto di Oristano, avrebbe consentito la ripresa delle attività presso le coste e, conseguentemente, anche maggiore sicurezza e più alti introiti per la fiscalità regia.

Del resto, questa visione non era affatto sconosciuta ai sovrani della Corona d’Aragona se, già agli inizi del Trecento, l’emissario aragonese Vidal de Villanueva affermava che la vera ricchezza della Sardegna stava negli introiti doganali, quindi nella salvaguardia e rivalutazione dei porti sardi, vista la centralità nel Mediterraneo occidentale; il Villanueva relazionava nel 1322, nell’ultimo momento di vitalità dei porti secondari sardi sotto il controllo di Pisa, prima che il regime feudale e l’economia di guerra portassero di aragonesi del Regno di ‘Sardegna e Corsica’ a limitare le esportazioni ai soli porti di Cagliari e Alghero.

Ma come descrisse Oristano e il suo territorio Giovanni Battista de Lecca e cosa propose per la sua difesa e per il suo ripopolamento?

Nella prima parte della relazione, quella sulle Incontrade, il de Lecca descrive così il territorio di Oristano:

 

«Salto di Santa Anna confina con Pomponio [Pompongias], Marruccio [Marrubiu]; primo era territorio dil Marchesato et ora dil archivescovo di Oristany.

Ha terreni per bestiami di boschi, tutto boschi.

Oristany Cità et suo Campidano ha ville 30, confina con la Incontrata di Parte Montis et il Contato di Sedilo a la Incontrata di Guilarça et Incontrata di Culleri. Et a ponente con il mare che voltara di circulo passa trenta miglia.

Ha terreni quasi tutti bonissimi per seminar et la maggior parte per formento forte. In alcune parti al rio principale [Tirso] si potrebbe abiverar alcun poco di territorio, il quale no si fa e per che molti rii per la moltitudine delle pioggie guasta li seminari et impedisce molti terreni gli megli che non lo posono seminar per tal rispetto. Il che facilmente si potrebbe rimediar in parte y ditario [deviarlo?] alla villa Serpentayra diece miglia arriba dela Cità et farlo passare la mittà per la villa Sanari Gongo [Simagis Josso] et per la valle Senoquedo[Fenughedu] et per la valle dil Salto detto Santo Quirgo [già Sancti Quirici de villa Finimix] et atorno a Palma villa et per il Ponte detto Sopra il Stagno a la strada di Cagliari intra nel Stagno. Et longo ditto rio al una et l’altra parte si pongono olmi et piopi a tal che non possa far danno a Milis villa di dito Campidano. Si può con il suo rio abiverar quasi la maggior parte degli terreni di Milis dove si può far quantità di risuo et io credo ancora si farebbe cagnamele [canna da zucchero] et più per le terre convicine habitate et salti atorno dil rio che passa per Tramatza [riu Mare Foghe] aqua assay per abiverar di una parte et di l’altra tutti quelli terreni di la montagna fin a riva de la marina da XX miglie di paesi per ditti albitrii [coltivazioni]; ha stratione assay».

 

Questo vasto territorio è tratteggiato come adatto alla coltivazione del grano duro, del quale si facevano consistenti esportazioni, sicuramente dal porto di Oristano. Grazie al fiume Tirso (rio principale) e agli altri fiumi, questo territorio avrebbe potuto essere fertilissimo, se irrigato a dovere; ma ciò era reso impossibile per la moltitudine delle pioggie che facevano esondare i corsi d’acqua e allagavano i seminati, rendendo i migliori terreni inutilizzabili. Anche in questo caso, Giovanni Battista de Lecca propone una soluzione: deviare il corso de Tirso a sud di Oristano e, soprattutto, creare consistenti argini con la messa a dimora di pioppi e olmi per evitare i danni delle esondazioni, in modo che non arrecassero più danno. Di conseguenza i terreni, soprattutto presso la villa di Milis: se irrigati adeguatamente, sarebbero divenuti adatti alla coltivazione della canna da zucchero e del riso (coltura introdotta con ottimi risultati solo recentemente).

Inoltre, utilizzando adeguatamente le acque del rio Mare Foghe presso Tramatza, si sarebbe potuta rendere fertile tutta l’area, ai due lati del rio, dalla montagna fino alla foce, per ben venti miglia (circa trenta chilometri).

Nella seconda parte della relazione, intitolata Costa di Mare, il de Lecca descrive le coste, proponendo soluzioni per la difesa dal pericolo turco e barbaresco, ma soprattutto indicando soluzioni per il ripopolamento, come l’attivazione di porti caricatori e l’incentivazione delle esportazioni, e quindi dell’economia. Per quanto riguarda il territorio di Oristano e del Marchesato, possiamo leggere l’interessante descrizione delle coste tra Capo Frasca e Capo Mannu.

 

«Capo di la Frasca a fronte di Oristanno da tramontana di Capo Moraseco, circa a sei miglie dil conte di Quirra dal Monte Orruo sin dentro dil Golfo di Oristan et terra da la Incontrata di Parte Montis et dentro dil Capo di La Frasca nel Golfo dove è la stancia [il quattrocentesco Portus de la Frasca] per ogni sorte di vaxelli è bisogno una torre [Torre Nuova, costruita solo nel Settecento] la qual corresponderà con Formentorjo et guardia di Capo Moragesi et da tramontana con tutto il Golfo di Oristani et Capo di La Renella [punta meridionale del Capo San Marco, dove c’è il nuraghe s’Arenedda] e fino a seco a man drita dentro dil Golfo guarda da piedi et cavalli ancorché è luoco in parte è petroso et prano.

Cargatore.

Osuo [Osu, altopiano in agro di Arbus, IGM 217 III SO] dentro dil Golfo di Oristanni circa a sei miglie di levante dil conte di Quirra, nel qual luoco per il gran concorso de le vitovaglie di la Incontrata di Uspini, Parte Montis et Incontrata di Ogliastre Luquela et Incontrada di Marmilla et altra Incontrata ville et territorii di quelli contorni de li quali si può condur ogni sorte di vitovaglie et ogni sorte di bestiame di barda [bardato] et carri in questo luoco et ale stantie dil mare bonissima per ogni sorte di vaxelli [il quattrocentesco Portus de la Frasca], buoni territorii per le ancore ma però so designare et nomenare Osuo per cargatore per il qual è bisogno nel luoco più eminente dove gli è un prano sopra il mare apresso la boca farci una grosa torre apresso di la quale si potrenno far magatzeni et fosse per ogni sorte di vitovaglie per esser il luoco che il fondo delle fosse serano axiute [asciutte] perché a basso nel basso apresso il mare non si potrebbeno fare per le aque et tanto più che in quelle parti convicine dove è tanti territorii boni spopulati per poterli cultivar et diffendergli de li continui corsarii di turqui è molto necessario che si facia una villa nel detto luoco eminente ancor che l’aria non saria buona, per essere su il mare in faccia al mastro [maestrale] tramontana aiutarà batendoli il mare a piedi suplirà a la indispositione dell’aria così come suole l’aria dil mare.

A l’altra parte dil canale a tiro di mosquetto gli è la torre fatta de la Incontrata di Parte Montis [Torre di Marceddì, de armas, voluta dal De Moncada nel 1578] dil conte di Quirra la qual corresponderà con la sopradeta et con quella dil Capo di la Frasca da metzo giorno et da questa torra fin al staño di Oristanno circa miglie quindeci a la torre di Oristanno per esser tutto praggia piano si può far guardia di cavalli.

Oristanno Cità Reale da tramontana 15 miglia da la torre di Parte Montis [torre di Marceddì] per il gran concorso di vitovaglie che havera tanto dil Marchesato come de la Incontrata di Guilarsa, Contato di Sedilo, Parte Barigado et di Orani, Contato di Gociano et altre ville [in pratica tutto il Marchesato], territorio non per molto aproposito et necessario che sia cargatore e per tal lo nomino, dove ponno commodamente et sicuro star ogni sorte di vaxelli tanto per il Porto buon tenitore come per una bonissima torra che gli guarda [Torre Grande].

Cavo [Capo] di La Arenella et di Santo Marco [sulla punta meridionale del Capo San Marco c’è il nuraghe s’Arenedda] da tramontana dil Golfo di Oristanni dil Marchesato miglie 5 di la torre di Oristanni dove se gli ha fato una torra ancor che piccola [Torre di San Marco, detta Torre Vecchia] la qual si risponderà con il Cabo di La Frasca et guardia di Oristanni e per tramontana con la torra Aseu [Torre di Seu o del Sevo, poco a nord di Funtana Meiga] et di la Mora [a Capo Mannu] et di la torra di Oristani a quella di La Arenella [Torre di San Marco, detta Torre Vecchia, presso punta meridionale del Capo San Marco] et la torra di Aseu et di quella di Aseu a quella di Suella [Portu Suedda, poco sopra Mari Ermi] et da Suella a la torra di Porto de la Mora [Turr’ e sa Mora a Capo Mannu] sino a la confina de la Incontrata di Culleri, marine nete di boschi et pranura circa trenta miglie si può far la guardia a cavallo.

Capo e Monte Marruchone [Capo Mannu] di cavo di tramontana dil Marchesato dil Porto di la Mora luoco di roca alta et tagliata insino al mare da tramontana la mità del sitio dove si potrebbe et sarebbe molto necessario habitarle una torra il qual luoco tengo per sano secondo l’altre parte dil Marchesato per esser un cavo lontano da gli luochi malsani, tutto pranura lontano quatro miglie di un staño pochissimo fondo di acqua salsa [Stagno Sale ‘e porcos] et ha il mar che circonda dalle quatro parte le tre et averso terra a meno di un miglio le salme atorno de le quali gli è certi potzi di buona aqua [Putzu Idu] et a metzo di dui porti [Cala Salinee Cala su Pallosu] che quelli che lo voltano et in caso di habitatione si potrebbe designar un altro cargatore dove per esser luoco sano venerebbeno di meglior anco glj vaxelli forastieri il che non nomino per ora si ben lo antepongo per che si habiti et di quelle saline va il sale in diversi paesi et ci ne sarebbe maggior quantità se gli fosse fata diligentia degli rendatori.

L’isula Mala [Mal di Ventre] fronte cargo dil Cabo Suella da otto miglie in circa da ponente et sej dil Cabo di La Mora [Capo Mannu] per lebecho, deta Isula è prana et è bisogno farli una grossa et forte torra dove stia buona artiglieria nel luoco più eminente et proprio ha le stantie de corsari che la girono secondo il vento, la qual mostra esser di tre miglie di volta per quel che io indico dal porto di La Mora che con buona artiglieria, per esser bassa, si potrebbe guardar tutta atorno. In la qual torre potessino star una dotzena di homini con una fragata per poter venir per providerçi delle cose necessarie per che altramente la detta isula tiene tutta quella costa dil Marchesato et Bosa dil che mi consta a me che la notte innansi che si ribasse, di quella isula vennero quatuordici bargantini et pigliorno a 8 miglie dentro terra vinti tre persone et non ardisce nixuno di far albitrio di arricoltura [agricoltura] nen di bestiame apresso di quelle marine le quali sono pranura quanto tiene il Marchesato.

Capo Bianco [vicino a Sa Rocca Tunda c’è Su Crastu Biancu] da tramontana di Muruchione tre miglia per qui co ha bisogno di una torre per haverci stancie di corsari donde altre volte gli turchi hanno disbarcato et pigliorno la villa di Riola sei miglie lontano tanto de la torre Murochione come da tramontana fina a Santa Catherina Pitinuri è bisogno guardia di cavalli per essere praggia et luochi prani et deta torre si vede da metzo giorno con quella dil Porto de La Mora et da tramontana si vede con Pitinuri, Capo Negro [Capu Nieddu] et Terra di Focodole [Punta Foghe]».

 

Come si evince da questa breve ma densa descrizione, l’attenzione è focalizzata sulla difesa costiera. Nel tratto di costa descritto erano parecchie le torri di avvistamento già in funzione, precedenti la creazione del vero e proprio sistema da parte della Administración del dret del Real. Partendo da sud erano già attive o in costruzione, infatti, la torre di Flumentorgiu (oggi nota come Torre dei Corsari), la torre de armas di Marceddì – voluta dal viceré Moncada nel 1578 – e, da alcuni decenni, Torregrande; fra queste ultime due potevano essere predisposte delle guardias a cavallo in quanto il territorio non presentava asperità. Dall’altra parte del Golfo, nel Capo San Marco – allora detto anche de La Renella (toponimo conservato dal nuraghe s’Areneddasulla punta meridionale della penisola) – era in funzione la Torre di San Marco, o Torre Vecchia, dismessa poco dopo la costruzione della torre de armas di San Giovanni. Proseguendo verso nord, il de Lecca menziona come già esistente la Torre di Seu, o del Sevo.

A questo sistema, già ben articolato anche grazie alle guardias a piedi o a cavallo, de Lecca proponeva di aggiungere una torre a Capo Frasca e una presso Osuo (Osu, altopiano in agro di Arbus, IGM 217 III SO); in realtà solo in pieno Settecento venne edificata Torre Nuova.

Inoltre, il relatore raccomandava la costruzione di una torre nell’isola di Mal di Ventre (isula Mala), che auspicava munita di artiglieria e capace di 12 soldati; suggeriva il de Lecca che i torrieri dovessero avere a disposizione una fregata per potersi periodicamente rifornire. Una torre nell’isolotto era più che mai necessaria – anche se non venne mai costruita – considerato che pirati o corsari vi si riparavano con qualsiasi vento per poi razziare a sorpresa le coste prospicienti. Ad esempio, la notte prima che Giovanni Battista de Lecca arrivasse sul posto, ben 14 brigantini assaltarono la costa per circa 12 km e fecero ben 23 prigionieri; la stessa villa di Riola era oggetto di continui assalti barbareschi. A causa di questa perdurante insicurezza, nessuno osava più coltivare o allevare in quelle fertili pianure.

Veniva proposta anche l’edificazione di altre due torri: a Capo Mannu (Torre della Mora) e a Capo Blanco (Su Pallosu).

Ma, come ripetuto in vari luoghi della relazione sul Regno, nessuna difesa poteva essere sufficiente a rendere più sicure le coste se queste non fossero state ripopolate ed autorizzate alle esportazioni. Per questo motivo Giovanni Battista de Lecca propose anche il ripopolamento di alcuni tratti di costa con nuovi villaggi e, soprattutto, propose l’istituzione di nuovi porti caricatori in virtù dei poteri assegnatigli.

Anche se il territorio del Marchesato era stato maggiormente resiliente alla grave crisi trecentesca che colpì e spopolò la Sardegna e le coste in particolare, il de Lecca ritenne utile suggerire il popolamento della penisola di Capo Frasca, magari di fronte a Marceddì, e di Capo Mannu; proponeva, infatti, di autorizzare alle esportazioni il porto de la Frasca (Marceddì), nel quale confluivano merci e bestiame dalle Incontrade a sud est del Marchesato (Guspini, Parte Montis, Marmilla e Ogliastre Luquela). Nell’altipiano di Osuo (Osu) si sarebbero potuti costruire magazzini e fosse per la conservazione delle derrate da esportare. In questo caso un nuovo abitato avrebbe reso più sicura l’iniziativa; in realtà, l’abitato di Sant’Antonio di Santadi, più a nord, venne popolato solo successivamente.

A Capo Mannu, invece, un nuovo abitato avrebbe favorito lo sviluppo dei due porti (Cala Saline e Cala su Pallosu) per esportare il sale dello stagno Sale ‘e porcos, dal quale si sarebbe potuta estrarre una quantità molto maggiore di sale se solo si fosse prestata maggiore attenzione agli arrendatori; si trattava del solito problema degli arrendamenti del Patrimonio demaniale (e il Marchesato lo era, essendo in capo al re) che rendeva meno delle sue effettive possibilità. Non a caso, poco più di vent’anni prima l’ufficio del reggente la Tesoreria generale aveva riassunto a sé quello di ricevitore del Marchesato di Oristano e della Contea di Goceano e quello di ricevitore del Riservato: evidentemente nulla era cambiato. In sintesi, il de Lecca proponeva l’istituzione di questi porti come caricatori solo se fosse stato abitato un nuovo villaggio a Capo Mannu.

Infine, l’altro porto caricatore sarebbe dovuto essere quello di Oristano, garantito da Torregrande, dal quale si commerciavano tutte le derrate e il bestiame del Marchesato.

In conclusione, anche per i territori e le coste del Marchesato di Oristano Giovanni Battista de Lecca, in ottemperanza all’incarico regio ricevuto, elencò una serie di proposte per renderlo più produttivo e ricco: dalla creazione di infrastrutture (come si sarebbe detto oggi) al ripopolamento e all’introduzione di nuove colture (per il Marchesato il principale suggerimento fu di introdurre la coltivazione della canna da zucchero e del riso, cosa che avvenne molti secoli dopo). In questo modo l’economia si sarebbe riavviata, i territori sarebbero stati ripopolati e difesi, e anche il Fisco regio ne avrebbe tratto beneficio.

Molte di queste proposte, però, rimasero lettera morta a causa della crisi del Regno sardo e, più in generale, dell’incipiente declino della Monarchia ispanica nel XVII secolo.

 

 

Fonti

  • Archivio Storico Comunale di Cagliari, Fondo Ms., fuori inventario.
  • Archivio di Stato di Cagliari, Antico Archivio Regio, vol. H8, cc. 60v-63v.
  • Archivo de la Corona de Aragón, Cancillería, reg. 4337, cc. 183 e 183 v.; reg. 4324, cc. 35v-39v.
  • Archivo del Congreso de los Diputados, Archivo de Cerdeña, leg. 1, n. 32.
  • Archivo General de Simancas, legajos 306, 321, 322, 324, 326, 327.
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