Come negli altri giudicati, la struttura sociale vedeva al vertice il giudice e i membri della sua famiglia, ai quali spettavano i titoli di donnos (“signori”) e donnikellos (“donzelli”). Subito al disotto vi erano i grandi proprietari fondiari (liberos majorales), anch’essi con la qualifica di donnos. Seguivano i medi e piccoli proprietari, semplici liberi abitanti dei villaggi (talvolta definiti paperos), che potevano anche essere legati al giudice o ad altri signori da rapporti di dipendenza economica: erano questi i cosiddetti liberos muniarios, debitori cioè di munias (prestazioni d’opera). Vi erano infine i servi (servos e ankillas), la cui condizione variava in base al numero di giornate lavorative prestate su base settimanale. Assimilando la persona umana a un quadrupede (battorpedia), il servo era detto intregu (intero) quando lavorava per quattro giorni alla settimana; latus (“lato”, cioè metà), per due giornate; pede (“piede”, cioè un quarto), per una giornata. Il servo poteva dunque dividere le proprie operas, generalmente di carattere agropastorale, fra più padroni, frazionando anche le proprie prestazioni in dies (giorni lavorativi al mese). Data la forte richiesta di manodopera, i servi, o, meglio, i loro servizi, erano oggetto di donazione, acquisto, permuta e spesso al centro di liti giudiziarie (kertos). Quanto alle ancelle, la loro attività prevedeva sia lavori tradizionalmente femminili, tra i quali anche la tessitura del lino e della lana, sia lavori legati al ciclo della mietitura e alla cura degli animali da cortile.
Particolare sembra essere stata la condizione dei servi de ginithu bonu. Il termine ginithu, che indicava genericamente le prestazioni d’opera di carattere personale, deriva da gynaecium, il luogo in cui nella tarda antichità le donne svolgevano il lavoro di fabbricazione dei tessuti, in specie lana. Nella Sardegna giudicale ginithu divenne sinonimo del lavoro stesso di tessitura e poi di quello di prestazione d’opera obbligatoria dovuta al giudice o altro signore (un genezzariu era preposto alla direzione delle opere e dei lavori manuali dovuti al giudice).
I servi potevano disporre di un proprio patrimonio, talvolta anche di una certa entità. Il matrimonio tra servi doveva ricevere il consenso dei rispettivi padroni, che si spartivano equamente la prole, mentre i figli di servi adulteri spettavano al proprietario della madre. Non erano rari i casi di unioni miste liberi-servi, ma i figli avuti da una donna libera e da un servo acquisivano normalmente lo status servile (deterior condicio). Se globalmente la condizione della classe servile sarda può apparire accettabile, non mancano episodi di fughe, ribellioni e tentativi di emancipazione anche attraverso la produzione ed esibizione di documentazione falsa. La persistenza in Sardegna di uomini di condizione servile durante il XIV secolo inoltrato dimostra come l’affrancamento sia stato una conquista molto tardiva.
Aggiornamento: 11 novembre 2017
G.G. Ortu, La Sardegna dei giudici, Nuoro 2005.
Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di M. Virdis, Cagliari 2002.
F. Panero, Schiavi servi e villani nell’Italia medievale, Torino 1999.