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La donna nella Carta de Logu

Alessandra Cioppi
 

La Carta de Logu è il codice legislativo più famoso della Sardegna medioevale.

Essa costituisce il corpus giuridico del regno giudicale arborense. Promulgata dalla giudicessa Eleonora nel 1392 pro conservari sa justicia dessu populu de sa terra nostra e de su Regnu d’Arborèe riveste una posizione di avanguardia rispetto alle coeve legislazioni vigenti.

Nella sua ratio aveva il compito di creare una disciplina giuridica per lo stato (su logu) che rispondesse all’esigenza di certezza del diritto, affidata interamente nei secoli precedenti alla pratica consuetudinaria, con principi derivanti dal diritto romano, canonico e bizantino.

La Carta de Logu, quindi, nasce come una raccolta di ordinamenti: non costituisce un unicum ma una compilazione “aperta”, suscettibile di aggiunte e modifiche, il cui risultato conclusivo è eccellente perché non solo raccoglie ed elabora le consuetudini del regno di Arborea, ma contiene una normativa articolata che precorre i tempi, istituzionalizzando concetti di grande modernità per l’epoca.

A questo riguardo è molto interessante il trattamento della condizione femminile. Nel codice arborense non si parla di una legislazione che abbia ad oggetto la donna: ciò che aveva importanza realmente era l’organizzazione della comunità e la convivenza degli individui, con l’obiettivo di creare un codice il più possibile equilibrato in ogni sua parte. È in questa direttiva che si raccolgono le notizie utili a delineare lo stato sociale femminile.

La Carta de Logu analizza la figura della donna in primo luogo come sposa all’interno del matrimonio, e fin dai capitoli iniziali è menzionata in questa veste, soprattutto per ciò che riguarda le questioni economiche.

Una serie di disposizioni successive la considerano nel ruolo di nubile, vergine, adultera, lavoratrice o, come l’uomo, artefice di molteplici reati e pertanto perseguibile dalla legge.

Di contro, la violenza fisica, subita fuori o dentro le mura domestiche, rappresenta l’oggetto di molte disposizioni che riflettono un attento apprezzamento del genere femminile, seppure fondato sul suo status sociale e civile. L’abuso nei confronti di una donna sposata, infatti, era punito con una multa di 500 lire o il taglio del piede in caso di mancato risarcimento. Per una donna nubile era prevista una sanzione di 200 lire e il matrimonio con la vittima, qualora quest’ultima fosse consenziente. La violenza contro una prostituta non comportava, invece, alcuna pena.

Anche l’adulterio era rigorosamente disciplinato. Una donna sposata colta in flagrante era frustata e privata dei suoi diritti e dei beni a favore del marito, l’amante invece doveva pagare 100 lire entro 15 giorni, pena il taglio di un orecchio. Il concubinato era distinto dall’adulterio: la legislazione prevedeva la condanna ad un risarcimento di 100 lire al marito che avesse richiesto la restituzione della moglie, mentre il mancato saldo comportava il taglio dell’orecchio e la donna subiva la stessa pena stabilita per l’adulterio.

 

Aggiornamento: 11 novembre 2017

 

Tracce bibliografiche

Italo Birocchi, Antonello Mattone (ed.), La Carta de Logu d’Arborea nella storia del diritto medievale e moderno, Edizioni Laterza, Bari-Roma 2004.

Francesco Cesare Casula, La Carta de Logu del Regno di Arborea, CNR-Istituto sui rapporti italo-iberici, Cagliari 1994.

Alessandra Cioppi, Battaglie e protagonisti della Sardegna medioevale, AM&D Editrice, Cagliari 2008.

Giampaolo Mele (ed.), Società e cultura nel giudicato d’Arborea e nella Carta de Logu, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Oristano, 5/6/7/8 Dicembre 1992), Comune di Oristano-Assessorato alla Cultura, Nuoro 1995.

Il mondo della Carta de Logu, Giovanni Todde, Antonio Sanna, Francesco Cesare Casula, Gabriella Olla Repetto, Felice Cherchi Paba, Giorgio Farris (ed.), Edizioni 3T, Cagliari 1979.