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La riforma del sistema elettivo municipale

Giuseppe Mele
 

Sotto Ferdinando il Cattolico in Sardegna si apre una fortunata stagione di riforme che mette fine all’anarchia feudale, introduce forme di razionalizzazione degli apparati amministrativi e finanziari e ridimensiona il potere signorile a vantaggio di quello regio, gettando così le basi dello stato moderno. Nell’ambito di un disegno più ampio, che abbraccia i regni peninsulari della Corona d’Aragona, anche nell’isola prende dunque forma un nuovo ordinamento istituzionale, destinato a rimanere in vigore per tutta l’età spagnola.

Di questo processo storico Oristano è una sorta di laboratorio, sia per quanto riguarda il consolidamento del patrimonio pubblico rispetto a quello feudale, con la devoluzione dei territori del marchesato alla Corona, sia per l’introduzione di un nuovo sistema di elezione dei consigli civici, divenuto improrogabile per la necessità stroncare le lotte municipali e ridimensionare il peso delle oligarchie e delle fazioni locali.

Oltre agli interventi volti al riassetto finanziario, il secondo obiettivo dell’azione di riordinamento promossa dal Re Cattolico è la riforma municipale. Come in Catalogna anche in Sardegna si mira a sostituire il sorteggio nell’assegnazione delle cariche al tradizionale sistema di cooptazione, allo scopo di rimuovere gli ostacoli che paralizzano le amministrazioni civiche e di garantire all’autorità reale la possibilità di intervenire, con la funzione di arbitro, nelle contese oligarchiche.

La prima città sarda a sperimentare il sistema dell’insaccolazione (il sorteggio dei cinque consiglieri e dei funzionari municipali) sarà dunque Oristano. Unitamente al privilegio di unione perpetua al demanio pubblico della città e dei tre Campidani, che vengono così sottratti alla giurisdizione feudale, il municipio viene infatti elevato nel 1479 alla dignità di città regia. L’applicazione della riforma, tuttavia, non porta i frutti desiderati a causa della mancanza di un numero di candidati sufficiente a garantire la rotazione della titolarità degli uffici. Per alcuni anni la designazione dei consiglieri viene pertanto effettuata dal viceré con il benestare della cittadinanza.

Nel 1485 un nuovo privilegio modifica quello precedente, introducendo una procedura mista che prevede sia l’estrazione che la nomina diretta. Al termine del loro mandato annuale i cinque consiglieri in carica indicano infatti altrettanti nomi per il sorteggio, nell’ordine, del nuovo consigliere “in capo” e poi degli altri quattro. I venti nominativi non sorteggiati nelle quattro estrazioni effettuate, più i cinque eletti e i cinque consellers uscenti formano il consiglio generale della città per l’anno successivo. Il primo compito di questo organo è l’elezione di due importanti funzionari: il clavario, addetto alla tesoreria del municipio, e il mostasaf, responsabile dell’annona, dei pesi e delle misure.

Dopo un tentativo di introdurre la riforma elettorale ad Alghero nel 1495, anche questo come quello oristanese non andato a buon fine, probabilmente, per l’inconsistenza demografica del centro e la scarsa articolazione del ceto dirigente locale, il riordino voluto da Ferdinando II viene finalmente imposto dal viceré Dusai anche alle città di Cagliari nel 1500 e di Alghero nel 1501. Per quanto riguarda Oristano, una volta constatato che il sistema misto favorisce il consolidarsi di una oligarchia al governo della città (i nominativi dei consiglieri nuovi sono indicati, infatti, dai consiglieri uscenti), si preferirà ritornare, nel 1518, al dettato del privilegio di Ferdinando II con l’estrazione a sorte di tutte le cariche municipali.